Dal canto del crepuscolo
messaggero del giglio
all’Ave del ventre caldo
il dono della grazia s’innesta
gemma luminosa d’avvento.
Alberga in lei misericordia
amniotico amore a fruttificare
redenzione ai mali dell’uomo
sangue a cucire gli strappi alle Leggi.
Nei palmi ignari posti a cullare
il piccolo Re del Mondo
la Madonna non conosce
il destino che proverà da Madre
cerulee stagioni di gioia
tramutate in lutto eterno
a genuflettersi tra le pieghe del Golgota
quando il tempo dei suoi giochi
sarà giunto alla maturità della Croce.*
Se, per un attimo, ci fermiamo ad osservare l’icona della Madonna di Montevergine notiamo immediatamente la raffinata eleganza dei ritmi tonali, il colore dell’incarnato che assume la sfumatura caratteristica del nero, verosimilmente tenero colore bruno-olivastro, reso ancor più evidente dalle luci tonali dell’oro che fa da cornice all’icona. I tratti somatici delicati e armonici. È raffigurata seduta sul trono, lo sguardo dolce, il tono lirico di abbandono amorevole alla custodia, tra le sue braccia protettive, di Gesù Bambino. Di contorno al dipinto ci sono alcuni angeli e sopra vi è l’iscrizione: Nigra et formosa es, amica mea.
***
Fin dalla fondazione del Santuario la festa liturgica dedicata a S. Maria di Montevergine veniva celebrata l’8 settembre, ricorrenza della Natività della Madre di Dio. Tuttavia i monaci Verginiani, nell’avvertire l’esigenza di destinare una festa propria in onore della Madonna sotto il titolo di Montevergine, ottennero dalla Sacra Congregazione dei Riti di anticipare tale solennità al 1° settembre. Il culto della Vergine richiama fedeli da tutto il mondo. Non tutti, però, pur riconoscendo ed apprezzando la straordinaria bellezza artistica ed il fascino mistico e religioso del dipinto che troneggia sull’altare, conoscono l’autore della prodigiosa tavola e l’intricata sua questione attributiva. La tavola della Madonna di Montevergine fu eseguita verosimilmente da Montano d’Arezzo, pittore “ufficiale” di Filippo d’Angiò, tra il 1285 e il 1298 (e comunque non oltre il 1305), su commissione di quest’ultimo, principe di Taranto, e devotissimo alla chiesa di Montevergine, morto nel 1331, ma già nel 1294 nominato dal padre “Vicario generale del regno di Napoli e di Sicilia”.
“La data più probabile di esecuzione della Madonna di Montevergine il 1285-1298 e non il 1310 (proposta ancora oggi da tanti pur prestigiosi studiosi) per vari motivi: 1) perché “la tavola della Madonna di Montevergine già esisteva prima del 1310, cioè prima di essere donata, come la tradizione voleva, da Caterina II, moglie di Filippo d’Angiò, o dopo, e perchè nel 1310 Caterina II non era ancora andata in sposa a Filippo d’Angiò ai monaci di Montevergine; 2) perchè nessun documento attesta esplicitamente l’avvenuta donazione del dipinto alla chiesa di Montevergine; 3) perchè nessun documento accerta che Caterina II avesse conservato, per eredità della famiglia Courtenay-Valois, il medaglione del volto della Madonna, trasportato con sè dall’imperatore Baldovino II, nella notte del 25 luglio 1261, quando fu costretto a fuggire da Costantinopoli, essendo questa città caduta nelle mai di Michele Paleologo, e trasmesso poi, di generazione in generazione, a Filippo di Courtenay e a Caterina I di Courtenay, prima che giungesse nelle mani di Caterina II di Valois; 4) perchè il medaglione del volto, come i rilievi stilistici incontrovertibilmente dimostrano, fu eseguito, come suppongo, dalla stessa mano che eseguì il resto della figura della Madonna e dell’intera composizione; 5) perchè, infine, come giustamente evidenzia e sottolinea il Mongelli, nel 1298 la tavola pittorica già esisteva nel Santuario, dal momento che la sua immagine si vedeva impressa sul sigillo di quell’anno esistente nell’archivio di Montevergine.[1]”
“Il santuario di Montevergine è una clinica dello spirito. Spesso nelle parrocchie c’è difficoltà a esprimere il sentimento della riconciliazione, mentre nei santuari le persone arrivano proprio con questo specifico obiettivo. I pellegrini chiedono di attraversare la Porta santa, subito dopo di ricevere il sacramento della Confessione e di prendere parte all’Eucaristia. Il pellegrinaggio in questo luogo diventa un cammino di conversione sotto lo sguardo della Madonna, che è la principale artefice della riconciliazione degli uomini con Dio. I pellegrini che giungono al santuario a piedi spesso ci chiedono di essere accompagnati da un monaco lungo il tragitto per un supporto nella preghiera e per la recita del santo Rosario. Nel cuore delle persone tutto l’amore è rivolto a “Mamma Schiavona”. Ai piedi della Madonna di Montevergine vengono deposte fotografie e lettere con richieste di grazie. Le persone si arrampicano fino ai piedi della Madonna raffigurata nel grande dipinto custodito nella basilica, superando l’altezza dell’altare con l’aiuto di un piccolo sgabello”[2].
[1] R. Sica “Dall’Oriente all’Occidente: sulle orme dell’arte cristiana“, Ed. Laurenziana, Napoli, 1983.
[2] Padre Riccardo Luca Guariglia Abate ordinario di Montevergine
*Poesia di Emanuela Sica
Dal canto del crepuscolo
messaggero del giglio
all’Ave del ventre caldo
il dono della grazia s’innesta
gemma luminosa d’avvento.
Alberga in lei misericordia
amniotico amore a fruttificare
redenzione ai mali dell’uomo
sangue a cucire gli strappi alle Leggi.
Nei palmi ignari posti a cullare
il piccolo Re del Mondo
la Madonna non conosce
il destino che proverà da Madre
cerulee stagioni di gioia
tramutate in lutto eterno
a genuflettersi tra le pieghe del Golgota
quando il tempo dei suoi giochi
sarà giunto alla maturità della Croce.*
Se, per un attimo, ci fermiamo ad osservare l’icona della Madonna di Montevergine notiamo immediatamente la raffinata eleganza dei ritmi tonali, il colore dell’incarnato che assume la sfumatura caratteristica del nero, verosimilmente tenero colore bruno-olivastro, reso ancor più evidente dalle luci tonali dell’oro che fa da cornice all’icona. I tratti somatici delicati e armonici. È raffigurata seduta sul trono, lo sguardo dolce, il tono lirico di abbandono amorevole alla custodia, tra le sue braccia protettive, di Gesù Bambino. Di contorno al dipinto ci sono alcuni angeli e sopra vi è l’iscrizione: Nigra et formosa es, amica mea.
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Fin dalla fondazione del Santuario la festa liturgica dedicata a S. Maria di Montevergine veniva celebrata l’8 settembre, ricorrenza della Natività della Madre di Dio. Tuttavia i monaci Verginiani, nell’avvertire l’esigenza di destinare una festa propria in onore della Madonna sotto il titolo di Montevergine, ottennero dalla Sacra Congregazione dei Riti di anticipare tale solennità al 1° settembre. Il culto della Vergine richiama fedeli da tutto il mondo. Non tutti, però, pur riconoscendo ed apprezzando la straordinaria bellezza artistica ed il fascino mistico e religioso del dipinto che troneggia sull’altare, conoscono l’autore della prodigiosa tavola e l’intricata sua questione attributiva. La tavola della Madonna di Montevergine fu eseguita verosimilmente da Montano d’Arezzo, pittore “ufficiale” di Filippo d’Angiò, tra il 1285 e il 1298 (e comunque non oltre il 1305), su commissione di quest’ultimo, principe di Taranto, e devotissimo alla chiesa di Montevergine, morto nel 1331, ma già nel 1294 nominato dal padre “Vicario generale del regno di Napoli e di Sicilia”.
“La data più probabile di esecuzione della Madonna di Montevergine il 1285-1298 e non il 1310 (proposta ancora oggi da tanti pur prestigiosi studiosi) per vari motivi: 1) perché “la tavola della Madonna di Montevergine già esisteva prima del 1310, cioè prima di essere donata, come la tradizione voleva, da Caterina II, moglie di Filippo d’Angiò, o dopo, e perchè nel 1310 Caterina II non era ancora andata in sposa a Filippo d’Angiò ai monaci di Montevergine; 2) perchè nessun documento attesta esplicitamente l’avvenuta donazione del dipinto alla chiesa di Montevergine; 3) perchè nessun documento accerta che Caterina II avesse conservato, per eredità della famiglia Courtenay-Valois, il medaglione del volto della Madonna, trasportato con sè dall’imperatore Baldovino II, nella notte del 25 luglio 1261, quando fu costretto a fuggire da Costantinopoli, essendo questa città caduta nelle mai di Michele Paleologo, e trasmesso poi, di generazione in generazione, a Filippo di Courtenay e a Caterina I di Courtenay, prima che giungesse nelle mani di Caterina II di Valois; 4) perchè il medaglione del volto, come i rilievi stilistici incontrovertibilmente dimostrano, fu eseguito, come suppongo, dalla stessa mano che eseguì il resto della figura della Madonna e dell’intera composizione; 5) perchè, infine, come giustamente evidenzia e sottolinea il Mongelli, nel 1298 la tavola pittorica già esisteva nel Santuario, dal momento che la sua immagine si vedeva impressa sul sigillo di quell’anno esistente nell’archivio di Montevergine.[1]”
“Il santuario di Montevergine è una clinica dello spirito. Spesso nelle parrocchie c’è difficoltà a esprimere il sentimento della riconciliazione, mentre nei santuari le persone arrivano proprio con questo specifico obiettivo. I pellegrini chiedono di attraversare la Porta santa, subito dopo di ricevere il sacramento della Confessione e di prendere parte all’Eucaristia. Il pellegrinaggio in questo luogo diventa un cammino di conversione sotto lo sguardo della Madonna, che è la principale artefice della riconciliazione degli uomini con Dio. I pellegrini che giungono al santuario a piedi spesso ci chiedono di essere accompagnati da un monaco lungo il tragitto per un supporto nella preghiera e per la recita del santo Rosario. Nel cuore delle persone tutto l’amore è rivolto a “Mamma Schiavona”. Ai piedi della Madonna di Montevergine vengono deposte fotografie e lettere con richieste di grazie. Le persone si arrampicano fino ai piedi della Madonna raffigurata nel grande dipinto custodito nella basilica, superando l’altezza dell’altare con l’aiuto di un piccolo sgabello”[2].
[1] R. Sica “Dall’Oriente all’Occidente: sulle orme dell’arte cristiana“, Ed. Laurenziana, Napoli, 1983.
[2] Padre Riccardo Luca Guariglia Abate ordinario di Montevergine
* Poesia di Emanuela Sica